Se non sapete quale film guardare in famiglia in queste serate incerte di quasi estate, ecco qui un consiglio: Priscilla – La regina del deserto, folle e coloratissimo film australiano del 1994, firmato Stephan Elliott
Protagoniste sono una transessuale e due drag queen, un pullman sgangherato, il deserto dell’Australia, sentimenti forti e profondi e tanta buona musica.
Da guardare in famiglia, sì, avete capito bene. Soprattutto se avete dei figli dagli otto anni in su (più piccoli non capirebbero molto e inizierebbero a ripetere le parolacce, che sono l’unica cosa volgare del film, ma che i bambini dagli otto anni in su sicuramente conoscono già e, si spera, sanno che non vanno ripetute).
E’ un film delicato, sensibile e divertente, con venature di amarezza che virano mirabilmente in forte ironia, mai come oggi bene urgente e necessario.
Un’opera interpretata magistralmente, con una colonna sonora da urlo, costumi favolosi e paesaggi mozzafiato.
Ma, soprattutto, è un affresco che parla dell’individuo, inteso come entità prismatica e multicolore, anima e corpo che si declinano in molteplici direzioni che poi convergono in un unico e immutabile desiderio, ovvero essere amato.
All’indomani di fatti gravissimi come quelli di Orlando, ma anche di storie allegre come quelle del Pride, è utile se non necessario accompagnare i nostri figli verso la conoscenza prima che il pregiudizio vano e vacuo ottenebri le loro menti.
Comunque la si pensi, anche con una critica costruttiva, perché ognuno è libero di apprezzare o meno le scelte degli altri.
Ma fra non apprezzare e disprezzare ce ne corre. Fra liquidare con beceri commenti sessisti la libertà di espressione altrui e affrontare le proprie paure o resistenze criticamente, passa tutto un mondo.
Protagonista indiscussa della storia è Bernadette, una donna cui dopo i cinquanta (ma anche prima) sarebbe bello assomigliare. Una vera donna, con classe ma anche con la forza di un leone quando necessario.
Da vedere e rivedere la scena del bar di provincia, dove, sfidata brutalmente da una virago locale che minaccia lei e le sue compagne, la apostrofa così “Ora stai a sentire brutta manza: appiccati fuoco al cordino del tampax e fatti esplodere la caverna perché è l’unica botta che avrai”. Tutto questo senza scomporsi minimamente e mantenendo l’aplomb da vera lady che l’accompagna in tutte le vicissitudini della storia.
E come non adorarla quando, nel bel mezzo del deserto australiano, alla ricerca di soccorso causa pullman in panne, si mette il rossetto sulle dune. Applausi. O quando, mentre la folle e sgangherata Felicia rischia di essere pestata a sangue, assesta un gran bel colpo nelle palle dell’energumeno omofobo che la stava minacciando.
Bernadette, che dice quanto è duro essere uomo un giorno e donna il giorno dopo con la foto della regina Elisabetta sulla testa. Bernadette, che fa innamorare il tenero Bob, assolutamente etero ma prima di tutto un gentiluomo, che non pare minimamente preoccuparsi di cosa lei abbia in mezzo alle gambe, ma solo fra le costole, quel vibrante, raro e rosso cuore di guerriera.
E poi c’è Mitzi, la terza stella, tormentato fra due sé. Si è sposato e ha un bambino di otto anni, cresciuto da una madre aperta e intelligente, che alla fine tirerà le fila della storia con il suo candido sentimento di naturale accettazione per la vita, in qualunque modo essa voglia manifestarsi.
“Tua madre ti ha detto cosa sono?”. “Mamma dice che sei un animale da palcoscenico”.
Al bambino manca la categoria del “cosa”, lui capisce solo il “chi”, nel senso più alto e puro si possa intendere. Tu sei quello che fai, non la definizione asettica e formale che gli altri decidono di darti.
Certo, questo è un film, ha un lieto fine quasi insperato, ma fa male pensare proprio questo.
Una vita lieta, oltre che una fine, può e deve essere desiderata per chiunque non faccia del male all’altro.
Se chiedete a un bambino, a un bambino qualsiasi, se fa “più male” un uomo travestito da donna che balla e canta o uno zio, come quello di Felicia, che molesta il nipotino nella vasca da bagno, non dubitate della risposta.
E allora, forse, anche i più restii, non dubiteranno nemmeno di se stessi.
Fonte: Paola Veneto – ifioridelmale.it